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Montefalco

Parte prima


Tratto da Spello, Bevagna, Montefalco, di Giulio Urbini, 1913


"Si fa una gita a Montefalco (mi piace di cominciare con le parole della Brunamonti nei "Ricordi di Viaggio"). La strada da Bevagna monta e gira sul crine dei colli con incantevoli curve e scoprimenti di vallate e di montagne. Là in fondo si vede Gualado Cattaneo, un villaggio mezzo selvatico e medievale. Come conserva gelosamente l'aria antica questa nostra Umbria!". Intanto, cammin facendo, si toccherà qualcosa della sua storia. Ma lasciando sempre le ipotesi cervellotiche sulle etimologie del supposto nome etrusco di Falisco o di quello, documentato, di Coccorone, che si pretenderebbe corruzione di Corcurione o Corcorona, pe' quali i vecchi eruditi andarono a scomodare perfino il romano Marco Curione, che avrebbe signolarmente prediletto e abbellito, come suo luogo di delizie, questo paese (Cor Curionis), e un cavaliere tedesco, che vi si sarebbe pur stabilito e avrebbe avuto per stemma un cuore con una corona, basti dir solo che nel 1249 Tommaso d'Acerra, conte d'Aquino, vicario di Federico II, mosse contro questo castello, perchè, insieme con la vicina Bevagna, s'era ribellato all'imperatore, e sembra che lo abbattesse; dopo di che gli abitanti lo rifabbricarono e lo munirono più fortemente e lo chiamarono Montefalco; sia che il monte sul quale sorgeva avesse già preso nome da un falco che si disse donato dal Barbarossa al signore di Coccorone, o che, secondo una forse più favola che leggenda, mentre gli anziani discutevano appunto sul nome da dare al nuovo castello, un falco fosse entrato dalla finestra in quel grave consesso. Certo è che prima del 1249 il nome di Montefalco non appare nelle cronache, e le notizie che si potrebbero spigolare di poi non meritano d'esser qui riportate. Che dai successori degli antichi conti di Coccorone passasse ai Trinci di Foligno, e dall'ultimo di essi, Corrado, tornasse alla Chiesa, cui lo ritolsero per breve tempo Francesco Sforza e Nicolò Piccinino ed altri: che nel 1425 avesse un proprio Statuto, e nel 1464 fosse desolato dalla peste, e nel 1500 fosse saccheggiato dalle "Bande Nere": queste e consimili notizie, cui solo han badato gli antichi cronisti, non c'interessano più che tanto. Nè interessano a noi, come forse ai suoi più che 6100 abitanti, alcune piccole celebrità locali, tra cui appena vivono nella sterile memoria di qualche erudito due o tre verseggiatori. Uno, Nicola, trombettiere di Braccio II Baglioni, innamoratosi d'una spellana, chiamata Filena, la celebrò in un canzoniere d'imitazione petrarchesca e non senza reminiscenze del Frezzi, intitolato appunto "Filenico" e conservato in un codice che da Spello passò alla Classense di Ravenna. Un altro, Bastiano, del secolo successivo, è ricordato dal Crescimbeni per "alcune Rime imprese con la Ninfa Tiberina del Molza e con altre poesie di diversi". Un terzo, il medico Achille Egidj, finì nel 1631 un poema in latino su la beata Chiara da Montefalco ("Clareidos libri tres"), edito tre volte, a Siena, a Firenze, a Lione, e tradotto, nel secolo scorso, da Ottavio Accorimboni di Spello.


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