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Montefalco

Parte quinta


A capo della nave grande, da questo lato, v' è una cappella decorata d' affreschi ritoccati e guasti, che ricordano lontanamente e fiocamente la scuola di Giotto, e non possono certo trattenere il visitatore desideroso d' ammirare finalmente la tanto decantata abside, affrescata "giovanilmente" da Benozzo Gozzoli, che vi lasciò il suo nome e la data 1452, in uno dei due finti cartigli, tenuti da due angeli, allato del grande arco, dove si vedono, in mezze figure, entro tondi, s. Francesco e i suoi dodici primi compagni. Nelle vele della volta, scompartite da grossi costoloni dipinti in modo da sembrare festoni di fronde d' alloro, legati da nastri d' oro, è figurata la gloria del Poverello d' Assisi, in paramenti diaconali, fra angeli e fra i principali santi del suo Ordine: s. Ludovico, s. Elisabetta, s. Bernardino, s. Caterina, s. Antonio, ora in gran parte rovinati. Nelle pareti dell' abside, tre sovrapposti ordini d' affreschi coi fatti della vita di s. Francesco; nello strombo del finestrone ogivale, entro finte nicchie, immagini di santi a persona intera; in basso una zona di tondi con ritratti di santi e beati, pontefici, cardinali, dottori, uomini illustri, dell' Ordine, e anche Dante, in mezzo al Petrarca e a Giotto. A proposito de' quali è da notare che, mentre quelli del secondo e del terzo seguono il tipo tradizionale, quello di Dante (contrassegnato da un verso di Giovanni del Virgilio) se ne allontana in tutto e non somiglia neppure a quello dipinto dal suo condiscepolo Domenico di Michelino nella tavola di S. Maria del Fiore. La vita del santo è narrata in quindici quadri, dichiarati da apposite scritte e contenenti, tranne due, soggetti già figurati da Giotto nella Cappella Bardi in S. Croce a Firenze, che il Gozzoli, fiorentino, dové certo conoscere, e nella chiesa di S. Francesco in Assisi, che, prima passando e poi dimorando nell' Umbria, non potè certo ignorare. Difatti, se in alcuni, come quelli del pazzo che onora s. Francesco, e di s. Francesco che baratta il suo abito con quello d' un pitocco, e dell' istituzione del presepio in Greccio, e della morte del conte di Celano, Benozzo si mostra indipendente dal ciclo giottesco d' Assisi, negli altri, più o meno, lo ricorda; e se in qualche particolare possa anche piacere di più, gli resta, nell' espressione degli affetti, quasi sempre inferiore. Si confronti, per esempio, la scena di s. Francesco che s' è spogliato di tutti i suoi abiti dinanzi al padre: quella giottesca è assai più drammatica; il santo, più ispirato; il padre, più adirato. Il santo che predica agli uccelli, nell' affresco giottesco, ha un atteggiamento più umano, più amorevole, più semplice. A volte le storie di Benozzo sono più ricche e più varie, e sono migliori e naturalmente meno convenzionali le molte prospettive architettoniche. Nella scena di s. Francesco innanzi al Soldano, Benozzo ha aggiunto, confondendo due fatti diversi, la cortigiana, che, dopo aver tentato il santo, resta tutta meravigliata quando lo vede affrontare incolume la prova del fuoco. Ma lo spazio non mi permette di proseguire in questi raffronti. Noterò, invece, le due storie che non hanno riscontro fra quelle di Giotto: ossia la nascita di Francesco, e Maria innanzi a Cristo, nell' atto di additare in basso s. Francesco e s. Domenico, che s' incontrano e si abbracciano dinanzi a una basilica; la quale ultima storia però deriva certamente da quella, assai più espressiva, gentile e devota, dell' Angelico, in una piccola tavola, ora nel Museo dell' Imperatore Federico a Berlino. Quanto alla basilica ritratta da Benozzo, noterò che a qualcuno è sembrata quella antica di S. Pietro a Roma, con a lato l' obelisco non ancora rimosso di lì: nel qual caso quest' affresco avrebbe anche molta importanza iconografica, perchè della facciata della basilica costantiniana non ci restano che schizzi assai difettosi. Ma, anche lasciando da parte il fatto di quest' incontro che si farebbe avvenire dinanzi alla basilica di S. Pietro anzichè al Laterano (poichè gli artisti non sono tenuti a essere storici), io credo che l' edifizio del Gozzoli sia veramente ideale, anche perchè, fra l' altro, ha non poca somiglianza con quello, pure ideale, che fa da sfondo nella storia della morte di s. Francesco. Del resto, anche nelle altre architetture egli seguì soprattutto la sua fertile immaginazione; e se a San Gimignano in uno degli episodi della vita di s. Agostino (la partenza per Milano) dette una piccola veduta, abbastanza riconoscibile, della Roma di quel tempo, dove poi la basilica di S. Pietro diversifica in più cose da questa di cui parlo, egli in genere non usò ritrarre gli edifizi con la fedeltà, mettiamo, di un Bonfigli. Che poi alcune architetture ornanti questi affreschi di Montefalco siano un' imitazione di altre dei fratelli Salimbeni nella vecchia Cattedrale di Sanseverino della Marca, mi sembra sotto più riguardi assai dubbio, per non dire impossibile: qualche affinità, quando non sia casuale, può anche dipendere da esemplari comuni. In ogni modo, pel Gozzoli, questa delle prospettive architettoniche fu, può dirsi, una specialità, dovuta non solo all' influenza dell' Angelico, ma anche, e più, a quella del Michelozzi, col quale potè avere amichevole consuetudine durante i lavori nel convento di S. Marco a Firenze: ond' è lecito supporre che specialmente nelle prospettive aiutasse il suo maestro anche nei dipinti della Cappella di Niccolò V in Vaticano. Nelle opere di Montefalco, Benozzo, per quanto cominci a manifestare qualche carattere personale, ritiene ancor molto del suo maestro, l' Angelico, e questo fa sì che, pur essendo meno vario e piacevole che nelle opere posteriori, si mostri anche più puro, sebbene, come sempre, affrettato, superficiale, disuguale. Che questi affreschi risentano dell' influenza dantesca, è stato detto recentemente, ma proprio senza un' ombra di ragione. Nè il pittore mostra in essi quel naturale gioioso che tutti gli hanno attribuito; anzi riesce più efficace nelle scene tristi, come quella della morte del santo; e in fatti anche l' autoritratto, che ci ha lasciato negli affreschi della Cappella del Palazzo Riccardi a Firenze, lo mostra serio e triste assai. Non sarebbe inutile ricercare le parti dovute ad aiuti, fra cui primeggiò il folignate Pier Antonio Mezzastri; ma l' indole di questa pubblicazione non permette così minute e spesso malsicure investigazioni: tanto più che sacrileghi pennelli hanno alterato qua e là con malintesi restauri questi preziosi dipinti, che pur ridono ancora di così vivi e soavi e armoniosi colori.



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